Oggi lo Stato italiano riconosce le sofferenze dei tarantini, riconosce gli abusi che si compiono per l’acciaio, da questo momento nessun esponente di Governo potrà più affermare con leggerezza che a Taranto ci si ammala e si muore di più perché consumiamo troppe merendine o troppe sigarette, oppure perché le nostre statistiche e gli studi prodotti negli anni non sono fondati”. Così il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci dopo la lettura della sentenza del processo Ambiente Svenduto, a cui ha assistito presentandosi in aula con la fascia tricolore. “Questa sentenza – aggiunge – è un macigno sulle azioni del Governo, non saremo un Paese credibile e giusto se all’interno del PNRR, a partire dall’ex Ilva, non avvieremo una vera transizione ecologica. Torno ad invitare il presidente Mario Draghi a convocare con somma urgenza il tavolo istituzionale per l’accordo di programma sullo stabilimento siderurgico di Taranto”. Secondo Melucci, “la richiesta di confisca dell’area a caldo è uno spartiacque per la storia e la struttura stessa del sistema industriale italiano, per i diritti dei cittadini. Mi auguro che il Consiglio di Stato, chiamato presto a discutere la recente sentenza del Tar Puglia, che – conclude – conferma l’opportunità della mia ordinanza sulla chiusura dell’area a caldo dell’ex Ilva, possa tenere debito conto delle risultanze di questa giornata storica”.
Usb, condannato sistema politico-economico. “La sentenza della Corte d’Assise di Taranto rappresenta un momento di straordinaria importanza perché condanna un metodo tutt’altro che virtuoso utilizzato da chi ha gestito in passato la più grande acciaieria d’Europa e dalla politica che non ha saputo imporsi”. Lo afferma Francesco Rizzo, coordinatore provinciale Usb Taranto, riferendosi alla sentenza di primo grado del processo per il presunto disastro ambientale causato dall’ex Ilva. “I giudici – puntualizza – intervengono per colmare lacune della politica e riparare i danni fatti dalla stessa, che mai come in questa circostanza, ha mostrato tutta la sua inadeguatezza. Da qui deve ripartire il Governo, interpretando e leggendo la sentenza odierna soprattutto attraverso il grande bisogno di cambiamento della città di Taranto”. E’ necessario, conclude Rizzo, “prendere esempio dal passato per evitare di fare gli stessi errori che puntualmente ricadrebbero sulla pelle dei cittadini, dei lavoratori e delle relative famiglie. Il lavoro e l’impresa vanno intesi mettendo al primo posto la persona e la vita stessa. Per questo motivo il Governo è chiamato a invertire immediatamente la rotta, andare nella direzione della riconversione economica del territorio attraverso un accordo di programma. Taranto vuole voltare pagina”.
Vendola “mi ribello a giustizia che calpesta verità”. Così l’ex governatore pugliese dopo la sentenza: “Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. E’ come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l’ombra di una prova. Una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare colpisce noi, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali. Appelleremo questa sentenza, anche perché essa rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata. Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia. Hanno umiliato persone che hanno dedicato l’intera vita a battersi per la giustizia e la legalità. Hanno offerto a Taranto non dei colpevoli ma degli agnelli sacrificali: noi non fummo i complici dell’Ilva, fummo coloro che ruppero un lungo silenzio e una diffusa complicità con quella azienda.” “Ho taciuto per quasi 10 anni difendendomi solo nelle aule di giustizia, ora non starò più zitto. Questa condanna per me e per uno scienziato come Assennato è una vergogna. Io combatterò contro questa carneficina del diritto e della verità”
I legali di Fabio e Nicola Riva, “rispettate normative”. “Come ammesso dagli stessi periti, sotto la gestione dei Riva Ilva ha sempre operato e prodotto rispettando tutte le normative vigenti. I Riva hanno costantemente investito ingenti capitali in Ilva al fine di migliorare gli impianti e produrre nel rispetto delle norme”. Lo sottolinea l’avvocato Luca Perrone, difensore di Fabio Riva, ex amministratore dell’Ilva condannato a 22 anni di reclusione nel processo ‘Ambiente svenduto’ per il presunto disastro ambientale causato dallo stabilimento siderurgico di Taranto. “Il totale degli investimenti erogati sotto la loro gestione – aggiunge il legale – ammonta a 4,5 miliardi di euro, di cui 1,2 miliardi di natura specificatamente ambientale. Cifre e numeri che sono stati certificati dal Tar e dalle due sentenze del Tribunale e della Corte di Appello di Milano di assoluzione piena perché i fatti non sussistono, perché non c’è stato dolo e perché gli investimenti realizzati sono stati veri e cospicui”. Secondo l’avvocato Perrone, “come anche certificato dall’Arpa, nel corso della gestione Riva sono state adottate le migliori tecniche/tecnologie allora disponibili (Best Available Technology del 2005) e come sempre i Riva si sarebbero prontamente adeguati anche a quelle del 2012 nei quattro anni successivi previsti dalle normative”. L’avvocato Pasquale Annicchiarico, difensore di Nicola Riva, altro ex amministratore dell’Ilva condannato a 20 anni, fa presente che il suo assistito “è stato presidente solamente due anni, dal 2010 al 2012, e sotto la sua presidenza si sono raggiunti i migliori risultati ambientali della gestione Riva con valori di diossina e benzoapirene bassissimi che si collocano a meno della metà dei limiti consentiti dalla legge”. “Risultati straordinari – osserva Annicchiarico – dovuti agli investimenti quantificabili in oltre 4 miliardi di euro e alla gestione degli impianti sempre tesa al massimo rispetto delle normative ambientali”.
Genitori Tarantini, grazie giudici a nome dei bambini. “Le condanne sono state all’altezza del lavoro fatto dai magistrati. A loro va il nostro grazie anche a nome dei bambini di questa martoriata città”. Lo afferma Massimo Castellana, rappresentante legale del Comitato cittadino per la Salute e l’Ambiente e portavoce dell’associazione Genitori Tarantini, commentando la sentenza del processo “Ambiente Svenduto”. “E’ una bella giornata – aggiunge – per Taranto dopo tante giornate tristi e insopportabili per il dolore che hanno procurato. Finalmente i giudici definiscono quella che ha subito la città di Taranto per troppi anni: l’assoluto disconoscimento dei valori fondamentali della Costituzione”. Le condanne “sono – osserva Castellana – inequivocabili. La Corte d’Assise ha inflitto 22 anni a Fabio Riva, che, voglio ricordare, fu la persona che nel corso di una conversazione intercettata disse: ‘due tumori in più al mese? Cosa vuoi che siano? Una minchiata’. Ora possiamo dirgli: 22 anni di reclusione cosa vuoi che siano? Una minchiata”.
Il coordinatore nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli “A Taranto, per decenni, si è inquinato senza che nessuna istituzione locale, regionale e nazionale facesse qualcosa: hanno chiuso gli occhi e legato le mani per non firmare atti a tutela della salute. La magistratura, purtroppo, è dovuta intervenire per fare quello che la politica avrebbe dovuto fare”. Bonelli, da tempo impegnato in difesa della popolazione tarantina e oggi presente alla pronuncia della sentenza per il processo “Ambiente svenduto” in cui i Verdi sono parte civile ha detto che “Tutti sapevano che il 93% della diossina e il 67% del piombo immessi in atmosfera in Italia, provenivano dall’Ilva di Taranto. Un inquinamento che ha provocato, rispetto alla media pugliese, un aumento dell’incidenza di mortalità e di malattie tumorali tra i bambini e le bambine rispettivamente del 21% e del 54% secondo le indagini epidemiologiche. Nel 2018, alla masseria Fornaro e al quartiere Tamburi, sono stati registrati picchi di diossina del +916%. Tredici decreti Salva-Ilva hanno consentito all’acciaieria di continuare a produrre nonostante le emissioni fuggitive. Decreti che hanno sospeso le leggi sulla sicurezza sul lavoro, come il decreto 92/2015 dell’ex ministro Calenda che fu poi dichiarato illegittimo con sentenza della Consulta n.58/2018. Una giuria di tutte donne” ha aggiunto l’ambientalista “oggi ha emesso una dura sentenza. Eppure” spiega “nessuna aula di tribunale potrà risarcire del dolore versato dalle famiglie tarantine. Un sistema politico, amministrativo ed economico ha svenduto la città di Taranto. La vicenda tarantina è il simbolo del fallimento della politica italiana che ha gridato allo scandalo perché era la magistratura a dettare la politica industriale, quando il vero scandalo non era solo lei che nulla ha fatto contro i veleni, ma il dramma tarantino stesso. Alle istituzioni italiane” conclude Bonelli “è mancata, e manca, una visione strategica del futuro dal punto di vista industriale, a differenza della Spagna, dell’America, della Germania, dove, a Bilbao, Pittsburgh e nel bacino della Ruhr, sono stati realizzati imponenti progetti di conversione industriale in chiave ecologica, rilanciando occupazione ed economia”.
Palombella (Uilm): “Dopo pesanti condanne, accelerare su transizione e futuro ecosostenibile”. Per il segretario generale della Uilm, “Questa sentenza con pesanti condanne penali deve rappresentare la fine di un’epoca, fatta di inquinamento, di conflitto tra salute e lavoro, tra cittadini e lavoratori. Deve essere quindi l’inizio di una nuova fase con una forte accelerazione della transizione ecologica e una produzione ecosostenibile che riporti un equilibrio tra fabbrica e città. Oggi è stato stabilito, ancora una volta, che uno stabilimento così grande e importante per l’intero Paese non può essere lasciato in mani private senza alcun controllo da parte dello Stato che, al contrario, deve garantire contemporaneamente il rispetto della salute e il lavoro”. Lo dichiara Rocco Palombella, Segretario generale Uilm. “Dopo questa sentenza lo Stato è di fronte ad un’unica strada: investimenti corposi, anche grazie ai fondi europei, per anticipare i tempi della transizione ecologica del più grande sito siderurgico europeo, verso una produzione ecosostenibile, abbattendo le emissioni delle fonti inquinanti, salvaguardando l’ambiente, l’occupazione e un asset strategico per il nostro Paese” sottolinea il leader Uilm. “Non è più rimandabile – aggiunge – un intervento diretto dello Stato nel controllo della maggioranza di Acciaierie d’Italia. Per questo chiediamo al Governo di indicare una direzione chiara, di dirci come immagina il futuro del sito e della città di Taranto, quali progetti concreti vuole mettere in campo e con quali tempistiche. Da Taranto dipende anche il futuro di tutti gli altri stabilimenti del Gruppo”. “Dopo nove anni dal sequestro degli impianti, è arrivato il momento delle scelte definitive da parte dello Stato – conclude – Non è più il tempo di rimandare decisioni che da troppi anni i lavoratori e i cittadini di Taranto attendono”.